Muraglione dell'Arco dei Pantani e veduta della trabeazione del Tempio di Marte Ultore, 1910 ca.

 

Mamme 2.0

Camicette di lino bianco, pagliette e panni stesi ai primi del secolo: sfilano gli abitanti del rione Monti. Questa, allo sbocco di via Baccina, era la porta d'accesso al popolatissimo agglomerato di case, palazzi e chiese che più tardi sarebbero sparite, per far posto al tracciato di via dei Fori Imperiali. Di là dell'arco, i capitelli corinzi delle colonne del Tempio di Marte Ultore nel Foro di Augusto. Colonne tagliate da una grande muraglia di pietra gabina: per gli antichi un'equivalente dell'amianto, con portentose capacità di resistenza agli assalti del fuoco. Non era un caso infatti se proprio in virtù del leggendario potere attribuito a questo materiale, il muro era stato costruito con funzioni di barriera tra il Foro e la Suburra: nelle case del quartiere gli incendi erano assai frequenti.

Altre colonne, che non appaiono nella foto, si affacciano ancora a sinistra. Facevano parte del Foro di Nerva, ma venivano comunemente dette "colonnacce" e per anni furono impunemente violate dall'insegna di un fornaio che conviveva con le rovine. Nathaniel Hawthorne così le descrive: "Essendo semisepolte per la stratificazione del suolo, sembrano sorgere dalla morta Roma come per un flusso di maree". Quando fu iniziato lo scavo dei Fori, il livello stradale si abbassò di molto e sotto l'arco non si passò più: fu ridotto a un enorme balcone affacciato sulla distesa dei Fori, su Palatino e Campidoglio. L'edicola sacra è ancora intatta al suo posto, all'angolo della via.

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